Alessandro Gualtieri
Allo scatenarsi delle ostilità, la guerra sembrò ristabilire ordine e distinzione tra i sessi, proponendo da un lato il mito dell'uomo difensore della patria e della casa, dall'altro l'immagine della donna angelo e custode, allo stesso tempo, del focolare domestico. Il prolungarsi della guerra stravolse questo effetto. A parte i rischi e i disagi, gli uomini percepivano la permanenza al fronte come una sorta di segregazione, di emarginazione dal proprio mondo: fare la guerra richiedeva molto spirito di sopportazione e adattamento a una sostanziale, rischiosissima passività, mentre le donne a casa vedevano moltiplicati i loro compiti e le relative responsabilità. L'enorme consumo di energie umane innescato dalla guerra, il bisogno crescente di manodopera in tutti i settori (specialmente nella produzione bellica), provocarono chiaramente una specie di invasione di campo femminile nelle più diverse realtà professionali. Le donne si scoprirono tranviere, ferroviere, portalettere, impiegate di banca e dell'amministrazione pubblica, operaie nelle fabbriche di munizioni. Si arrivò pertanto alla rimozione di tabù e confini tra compiti e ruoli canonici, con una nuova confusione e mescolanza dei sessi. Il risultato di tale drastica rimozione della “repressione” sociale femminile, fu dunque un inedito anelito di libertà: vivere sole, uscire da sole, assumersi da sole certe responsabilità erano cose che ora divenivano per molte finalmente possibili, anche se non sempre accettate senza riserve dagli altri.
Una volta deposte le armi, tutti sentirono il bisogno di pace e di sicurezza; il rientro nei ruoli tradizionali, da tempo agognato, sembrava contribuire a questo senso di sicurezza, specialmente per quanto riguarda i maschi, che si erano visti soppiantati e minacciati nella loro tradizionale supremazia. L'esigenza di trovare un lavoro per i reduci spinse talvolta al licenziamento rapido e completo delle donne dalle occupazioni che avevano ricoperto, anche se in alcuni settori, per esempio nel terziario, la loro presenza continuò nonostante tutto a crescere. La difficoltà di trovare lavoro scatenò la guerra dei sessi che naturalmente fu perduta dalle donne, che solamente per un breve periodo ebbero diritto al sussidio di disoccupazione. La sconfitta dell’occupazione femminile fu rilevata solo nel 1921, data in cui risultarono occupate nell’agricoltura 3 milioni di donne, nell’industria un milione e 173.000 in meno rispetto al 1913, mentre le donne inattive erano 14 milioni. La retorica dominante fu infatti quella che prescriveva alle donne il rientro nei ranghi, nei ruoli familiari, nei compiti procreativi e materni. La morte di milioni di uomini il relativo fortissimo calo della natalità, alimentarono dovunque politiche di sostegno di incremento demografico, che in Italia furono fatte proprie e sviluppate con particolare forza dal fascismo, cercando di reprimere ulteriormente qualsiasi velleità d’emancipazione femminile.
La guerra delle donne
Anche nella Prima Guerra Mondiale, più che nel passato, il prezzo pagato dalle donne fu altissimo, in un conflitto che lo storico Hermann Sudermann definì “la più gigantesca imbecillità che il genere umano abbia compiuto dal tempo delle Crociate”. Per le donne il trauma bellico di lunga durata ha certamente significato lutto, sofferenza e ansia materna, ma ha causato senza dubbio anche una frattura dell'ordine familiare e sociale. Mentre la memoria e l'immagine maschile, che sono in gran parte memoria e immagini dei campi di battaglia, sono caratterizzate generalmente dal senso dell’orrore della violenza gratuita, della sofferenza e della tragedia, alcune testimonianze orali di donne, raccolte da numerosi studiosi, lasciano intravedere piuttosto un senso di liberazione e di orgoglio retrospettivo, nonchè di accresciuta fiducia in se stesse. Nelle fotografie dell'epoca le donne ritratte nelle mansioni un tempo riservate agli uomini (per esempio quelle adibite ai trasporti, come conduttrici o bigliettaie di tram) e nelle relative divise appaiono generalmente fiere, sorridenti e contente. Lo sguardo rivolto da queste donne agli orrori della carneficina di massa e’, almeno in questa particolare angolazione, diametralmente diverso.
La Grande Guerra incrinò modelli di comportamento, le relazioni tra generi e classi di età, nonché tra le varie classi sociali, mettendo in discussione gerarchie, distinzioni e autorità ritenute immutabili: un effetto che - contenuto per il momento dalla legislazione repressiva - sarebbe emerso più ampiamente nel dopoguerra, contribuendo a conferire alle lotte sociali, comprese quelle per i diritti delle donne, quell'impronta di stravolgimento radicale dell'ordine esistente che avrebbe fatto per un momento tremare le classi proprietarie.
Copyright Alessandro Gualtieri 2010
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